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Iraq, vent’anni dopo: il sacco di Baghdad. Così la capitale soccombe a mafie, corruzione e speculazione edilizia

Via le vecchie case di mattoni e le palme da datteri, largo a palazzine sempre più affollate. A vent’anni dallo scoppio della seconda, devastante, guerra del Golfo, un boom immobiliare sta cambiando il volto di Baghdad.

Un flusso inarrestabile di investimenti, di origine più che dubbia, e una popolazione in generale aumento sta spingendo alle stelle i prezzi nella capitale irachena. Alcune aree senza acqua corrente o allaccio alla rete elettrica, vedono gli affitti superare i 2.000 euro al metro quadro, in un Paese in cui il reddito pro capite non arriva a 500 euro al mese.

Miscela esplosiva
La situazione rischia di aggravare molti dei gravi problemi che già affliggono la città, dall’aumento delle disuguaglianze agli effetti sempre più evidenti del cambiamento climatico, creando una miscela potenzialmente esplosiva.

«L’aumento dei prezzi degli immobili non è legato al mercato, è legato alle mafie e al riciclaggio di denaro», ha spiegato senza troppi giri di parole il portavoce del Comune, Mohammed al-Rubaii.

Dichiarazioni che non è raro sentire in Iraq, dove il tema della corruzione è da anni terreno di lotta politica. Il sistema venuto a crearsi dopo la caduta del regime di Saddam Hussein viene ripetutamente accusato di spartire su base clientelare le ricchezze del Paese, tra i principali produttori al mondo di petrolio. In base alla classifica di Trasparency International sulla percezione della corruzione, l’Iraq figura regolarmente tra gli Stati più corrotti al mondo, occupando il 157esimo posto su 180.

Per chi ha disponibilità di liquidi, la scarsa fiducia nel sistema bancario iracheno e le norme che limitano la possibilità di trasferire dollari all’estero finiscono per rendere il mercato immobiliare una destinazione molto attraente. A questa situazione avrebbe contribuito, secondo alcuni addetti ai lavori, anche la crisi valutaria del Libano, destinazione preferita di molti operatori. 

Il denaro può arrivare in valigie, buste di plastica o anche vaschette di gelato e viene gestito da intermediari che ne intascano una parte o vengono remunerati con un onorario mensile. Una volta conclusa la compravendita l’immobile può essere usato come garanzia in banca, per ricevere sotto forma di prestiti somme da tre a cinque volte superiori al valore dell’investimento iniziale, da riversare in nuove operazioni.

Il furto del secolo
A fare il nesso tra la corruzione e il mercato immobiliare fuori controllo è stato anche il primo ministro Mohammed Shia al-Sudani, in riferimento al cosiddetto “furto del secolo”. Il caso, scoppiato poco prima dell’insediamento dell’attuale premier, riguarda la sottrazione di circa 2,5 miliardi di dollari (2,3 miliardi di euro, ndr) dai conti della Commissione tributaria irachena. Al-Sudani, arrivato alla guida del governo soltanto lo scorso ottobre, ha affermato che il denaro era stato utilizzato per «l’acquisto di importanti immobili in aree prestigiose di Baghdad», ostacolandone il recupero. Secondo Sajad Jiyad, esperto del think tank Century International, più di un miliardo di dollari è stato utilizzato per acquistare 55 immobili a Baghdad, mentre un altro miliardo ha finanziato l’acquisto di «altre proprietà, terreni e altri beni».

Lo scandalo ha gettato un’ombra sul governo del predecessore di al-Sudani, il filo-occidentale Mustafa al-Kadhimi. Era stato il suo ufficio ad autorizzare la rimozione dei controlli che avrebbero reso possibile la sottrazione di somme esorbitanti a pochi mesi dalle elezioni che si sono tenute nell’ottobre del 2021. Secondo le accuse, il via libera avrebbe consentito a un imprenditore di chiedere, tramite diverse società di comodo, il rimborso degli acconti versati al fisco, eludendo ogni controllo. Il caso ha compromesso ulteriormente la figura di al-Kadhimi, arrivato al potere sull’onda di forti proteste contro la corruzione. Anche il suo successore al-Sudani però, sostenuto da fazioni considerate vicine all’Iran, ha definito la lotta alla corruzione la sua principale priorità. Dal 2003, stando alle stime della Commissione parlamentare per la Trasparenza, il Paese avrebbe perso più di 290 miliardi di euro a causa della corruzione.

Crisi abitativa
Ma non è solo la corruzione ad aver causato la crisi abitativa. Secondo il portavoce dell’amministrazione comunale di Baghdad, al-Rubaii, a contribuire all’assenza di investimenti è stata anche la «scarsa pianificazione» dei precedenti governi, mentre nella capitale ancora un milione di persone vivono in abitazioni di fortuna. Secondo quanto affermava il ministero della Pianificazione nel 2021, in città sono presenti più di mille edifici irregolari a fronte dei quattromila censiti nell’intero Paese, che corrispondono a un totale di 500mila unità abitative. In tutto l’Iraq, sono più di 3 milioni le persone che vivono in baracche o edifici irregolari. Per loro, il mercato immobiliare offre poche soluzioni.

In alcuni quartieri della metropoli, arrivata a contare 7,7 milioni di abitanti, gli affitti hanno ormai raggiunto i livelli delle capitali europee. Una casa sulla riva occidentale del Tigri senza acqua o elettricità, secondo quanto riporta il Washington Post, oggi costa almeno 2.100 euro al metro quadro, mentre a Mansur il costo può essere di sei volte maggiore. Nel ricco quartiere di Jadriya i prezzi arrivano fino a 3.700 euro al metro quadro o più di 7.000 euro per gli affitti commerciali. Nella zona commerciale di Karrada, stando a quanto dichiarato da un agente immobiliare all’agenzia di stampa Afp, i terreni vengono ceduti a 2.700 euro al metro quadro, più del doppio rispetto al passato. Qui gli operai non lasciano semplici annunci, ma offrono i propri servizi per la demolizione dei vecchi edifici direttamente sui muri delle case, usando bombolette spray.

Per cercare di capitalizzare le opportunità del mercato immobiliare, le abitazioni si stanno facendo sempre più piccole. Una dinamica che rischia di amplificare ulteriormente i problemi sociali, tanto da spingere il premier al-Sudani ad accostare la crisi abitativa a un aumento dei divorzi. La città intanto continua ad attirare immigrati dalle campagne, spinti a lasciare le proprie case anche dai cambiamenti climatici che minacciano raccolti e allevamenti.

Sotto assedio
L’espansione spesso incontrollata sta trasformando la capitale, ormai assediata dai cantieri. Uno dei cambiamenti più evidenti riguarda gli spazi verdi, i primi a essere sacrificati nell’allargamento della metropoli. Le palme che una volta popolavano la periferie, così come i cortili delle abitazioni più centrali, stanno cedendo il passo al cemento, proprio nel momento in cui la situazione climatica si sta facendo più difficile.

Negli ultimi anni il riscaldamento delle temperature negli Stati del Golfo, tra cui l’Iraq, ha viaggiato a un ritmo quasi doppio rispetto alla media globale. «L’Iraq è uno dei Paesi più vulnerabili a shock legati al cambiamento climatico sia in termini finanziari che fisici, che comprendono l’aumento delle temperature e la scarsità d’acqua», ha denunciato lo scorso novembre la Banca mondiale, rilanciando anche l’allarme sulle riserve idriche in diminuzione a livello nazionale. Entro il 2035, ha ricordato l’istituto di Washington, la differenza tra domanda e disponibilità d’acqua schizzerà da 5 a 11 miliardi di metri cubi. Secondo la Banca mondiale, «la scarsità idrica e la qualità dell’acqua non ottimale possono ridurre significativamente i raccolti e influenzare i sistemi agroalimentari, minacciando la sicurezza alimentare», fattori che già adesso contribuiscono alla migrazione interna dalle campagne alle città.

L’aumento previsto delle temperature, che a Baghdad hanno già sfiorato i 52 gradi centigradi, assieme al forte inquinamento e alla scarsa disponibilità di condizionatori per le fasce più povere, contribuirà a rendere le estati sempre più pericolose.

Un problema, mettono in guardia esperti e addetti ai lavori, che viene esacerbato dalla riduzione degli spazi verdi in città. Secondo Maryam Faisal Abdulateef, docente di architettura del paesaggio, a Baghdad queste aree si sono più che dimezzate negli ultimi due decenni. «Stiamo gradualmente perdendo i polmoni che fanno vivere la nostra città», ha sottolineato l’esperta in un’intervista al New York Times. Al quotidiano newyorkese Mahmud Aziz, responsabile per la pianificazione del comune di Baghdad, ha spiegato che dall’invasione del 2003 la perdita di spazi verdi è accelerata, parlando di «debolezza dello Stato iracheno e difetti nelle misure di monitoraggio».

L’assenza di piante favorisce infatti l’effetto “isola di calore”, dovuto all’assorbimento del caldo da parte di superfici come il cemento. Secondo alcuni studi, a Baghdad le aree coperte da piante sono di oltre cinque gradi più fresche rispetto a quelle in cui queste non sono presenti. Il cambiamento è evidente in zone periferiche come Dora, dove le autorità si trovano continuamente a indagare casi di palme distrutte dai proprietari dei terreni, che sperano così di avere il permesso per costruire. «A Dora andiamo la mattina e vediamo che gli alberi sono stati tagliati durante la notte», ha affermato Aziz. «È illegale abbattere alberi, e se li prendiamo, li arrestiamo e li mettiamo in prigione».

In altri casi le palme vengono abbattute legalmente. È così per il cantiere dell’Iraq Mall, che aprirà i battenti l’anno prossimo. Con una superficie di 500mila metri quadri, sarà il più grande centro commerciale iracheno e uno dei più grandi del Medio Oriente. 

«La densità a Baghdad ora è molto alta e nella capitale irachena stiamo assistendo a un’espansione, mentre molti terreni agricoli vengono trasformati a scopo residenziale o commerciale», ha rimarcato Ghaith Qasem, a capo della Iraq Noor Islamic Bank, che partecipa alla società che sta realizzando il progetto. «I terreni agricoli ora sono morti».

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