Che finalmente, dopo anni passati tra dubbi e rinvii, siano partiti i cantieri per la fondamentale stazione della metro C di piazza Venezia è un’ottima notizia per Roma, per i suoi cittadini e per chi frequenta la città. Che il suo cantiere stia creando grossi problemi di viabilità in un punto cruciale per i trasporti di Roma, rischia non solo di rappresentare di per sé un problema, ma di contribuire ulteriormente a quel pessimismo verso la realizzazione di infrastrutture, anche fondamentali, che aleggia regolarmente tra i romani, con il sottinteso che tanto il cantiere durerà molto più del previsto e porterà disservizi infiniti, senza pensare ai benefici dell’opera perché, tanto, ci si immagina di vederla completata solo tra moltissimi anni.
Purtroppo, ad avvalorare questa narrazione, ci sono molte opere incompiute o in ritardo in giro per Roma, dalle vele di Calatrava a Tor Vergata agli ex Mercati generali all’Ostiense, ridotte a eterni cantieri o scheletri divenuti parte integrante dello skyline. Ma questo non può mettere in secondo piano un fatto: Roma ha un problema strutturale di traffico e di dipendenza dall’automobile privata e deve fare tutto il possibile per superarlo, in linea con le altre grandi capitali europee. E far passare la metropolitana da piazza Venezia è solo un piccolo passaggio tra i tanti necessari.
Ma perché questo passaggio possa essere portato avanti serve una gestione contestuale di un traffico incontrollabile, che caratterizza da tempo questa città e che oggi nella zona centrale deve convivere con i cantieri di Piazza Venezia e di Piazza Pia, dove sono in corso lavori per il prolungamento del sottopassaggio che creerebbe una grande e suggestiva area pedonale tra Castel Sant’Angelo e San Pietro da completare entro il Giubileo del 2025. Sperando non vi siano problemi, sono invece più lunghi i tempi per la stazione di Piazza Venezia, dal punto di vista tecnico una delle più complesse mai realizzate al mondo, visto che dovrà essere costruita a una grande profondità per via del contesto archeologico unico al mondo che costringerà a un lavoro molto più articolato. Questa complessità fa sì che il tempo stimato per il cantiere, al netto di eventuali lungaggini e rinvii, sia di circa dieci anni. Un tempo nel quale è inconcepibile vedere incessantemente il traffico cui abbiamo assistito finora dall’inizio dei lavori, e con cui è impensabile accogliere la moltitudine di pellegrini, turisti e visitatori attesi per il Giubileo del 2025.
Auto-dipendenti
Secondo il rapporto di Roma Servizi per la mobilità del 2021, a Roma ci sono 923 veicoli privati ogni mille abitanti tra i 14 e gli 85 anni. Più auto che patenti, ha notato a suo tempo l’assessore Eugenio Patanè. Un dato che si traduce nel quotidiano in un traffico ingovernabile e in fenomeni paralleli quali la sosta selvaggia. Il tutto con una metropolitana e un sistema di ferrovie urbane che copre solo una porzione ridotta della città e in cui non mancano tempi di attesa prolungati (nella linea C sono frequenti attese di 15 minuti per il passaggio), un numero ridotto di linee tranviarie e autobus che spesso rimangono bloccati tra i fiumi di autovetture. Per quanto si potrebbe pensare che il numero di auto diminuirebbe nel momento in cui venisse realizzato un servizio di trasporto pubblico più efficiente, la situazione è in realtà più complessa, perché l’eccessiva presenza di veicoli rappresenta un ostacolo alla possibilità di svolgere lavori e interventi a sostegno della mobilità.
Ma come mai a Roma ci sono tutte queste auto rispetto ad altre grandi città italiane e alle altre capitali europee? La risposta è legata a una serie di scelte del passato e trova riscontri nel piano regolatore del 1959 e in molte scelte politiche di quel periodo. Quell’anno, alla vigilia delle storiche Olimpiadi di Roma, venne messo in atto un piano di riorganizzazione delle linee Atac da parte dell’assessore Agostino Greggi che portò allo smantellamento di quasi tutte le linee tranviarie per lasciare spazio alle automobili private. L’obiettivo era puntare sugli autobus e separare i flussi di traffico tra trasporto pubblico (su gomma) e privato, ma la scelta si rivelò inefficace. E nel piano regolatore dello stesso anno, si scelse di non sviluppare la metropolitana nei nuovi quartieri – zone che oggi ricadono in gran parte nella città consolidata -, dove sarebbe stato ancora possibile creare strade ad ampio scorrimento e continuare a puntare sull’automobile. Nel piano si prendeva anche atto che la metropolitana sarebbe stata un’opzione valida solo per la zona centrale, dove appunto questo spazio per le auto era ridotto, ma vista la volontà di decentrare gran parte delle attività del tessuto storico, anche questa scelta veniva messa in secondo piano. Scelte che si sono tradotte con un aumento dell’uso dell’auto privata a Roma. E a quei tempi, la metro era costituita dalla sola linea B tra Termini e Laurentina e si apprestava alla ventennale costruzione della linea A, nel tratto tra Ottaviano e Anagnina. Per l’inizio di nuovi lavori bisognò aspettare la fine degli anni Ottanta, col prolungamento della B in occasione dei Mondiali di calcio.
Gli interventi necessari
Oggi con questa situazione gli interventi sono necessari, per quanto non facili. Una conformazione urbana tutt’altro che semplice – Roma è un comune di dimensioni sterminate, composto in gran parte dalla campagna e con molte aree abitate isolate e difficili da raggiungere -, un’abitudine radicata a usare l’auto anche per spostamenti ridotti, mezzi pubblici non sempre efficienti e che spesso raggiungono a singhiozzo alcune di queste aree, soprattutto le più remote, sono tra i principali ostacoli.
Parallelamente allo sviluppo di una rete metropolitana e tranviaria, che tuttavia richiede tempo, soldi e risorse, servono misure complementari più semplici e attuabili in tempi brevi, che vanno dalla valorizzazione della mobilità alternativa con piste ciclabili e percorsi pedonali che ancora oggi sono spesso percepiti come spazi per lo svago e le passeggiate domenicali ma sono invece a tutti gli effetti percorsi per spostamenti soprattutto medi e brevi, quegli spostamenti per cui ancora oggi si continua a usare eccessivamente l’automobile.
Ma non si può non prendere in considerazione un altro elemento: molto del sistema dei mezzi pubblici non è valorizzato e sarebbe importante promuovere una maggiore consapevolezza possibile tra i romani del sistema di trasporti esistente. Non tutti i romani sono pienamente consapevoli dell’estensione della rete delle ferrovie urbane, di fatto una valida spalla della metropolitana, e molte stazioni del trasporto su ferro potrebbero essere valorizzate meglio: si pensi solo che passando lungo la via Ostiense non si ha alcuna percezione che si stia passando a pochi metri dalla stazione Garbatella. Una consapevolezza che arriva anche attraverso l’informazione: le paline elettroniche, le app e tutti gli strumenti che permettono di conoscere con precisione i tempi di attesa hanno fatto un grande lavoro di valorizzazione in questo senso.
Parallelamente a questo, è grande elemento di discussione l’esclusione dei veicoli più inquinanti dalla Ztl fascia verde. Questo, tuttavia, è un discorso diverso, rischia di non andare a ridurre la dipendenza dall’auto come per le Ztl che mirano a decongestionare zone ben servite dai mezzi e particolarmente frequentate, ma di colpire chi ha un veicolo vecchio che magari usa marginalmente solo perché uno nuovo non se lo può permettere. Andrebbero promossi il trasporto pubblico e la mobilità alternativa per fare in modo che, gradualmente, chi ha un’auto, vecchia o nuova che sia, senta sempre meno la necessità di usarla. Anche perché, per quanto spostarsi in automobile possa sembrare una forma di libertà, se tre milioni di romani prendessero tutti l’auto non saremmo liberi, passeremmo la vita impantanati in un traffico che stiamo contribuendo a creare.