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Un Paese de-genere: così la destra riporta l’Italia all’oscurantismo sui diritti Lgbtqia+

In Italia i diritti civili sono in pericolo. Il periodo storico che stiamo vivendo, dal punto di vista dei diritti civili, è ben rappresentato da un caso che qualche settimana fa è esploso tra le notizie di cronaca e che ha provocato le reazioni di alcuni esponenti politici tra cui il vicepremier Matteo Salvini. 

La storia è quella di Marco (nome di fantasia) Si sentiva un uomo e non una donna. Ha così avviato il lungo e difficile percorso per il cambio di sesso. Dall’iter psicologico, alle terapie ormonali. Il giovane si è poi sottoposto a una mastectomia, mentre il Tribunale ha autorizzato la rettifica anagrafica del sesso e, quindi, il cambio del nome sui documenti. Quando poi Marco si è recato in ospedale per controlli, analisi e procedure per l’ultimo tassello della transizione, cioè l’isterectomia (l’asportazione dell’utero), ha scoperto di essere incinta di cinque mesi.

Marco adesso vive una situazione certamente delicata, da un punto di vista fisico e psicologico. Un caso, il suo, che dovrebbe richiedere la massima cura nel raccontarlo e nel commentarlo. Specie da chi in questo frangente storico rappresenta lo Stato. Purtroppo così non è andata. E i commenti, leggeri e insultanti, che si sono letti sul web sono stati innumerevoli. Si è parlato di »abominio», di »sfida a Dio», di »meritata estinzione». 

Infine, è arrivato il commento del vicepremier che ha esposto il caso sulle sue pagine social asserendo: «Questo non è “futuro”, questa è la fine della nostra società. Da fermare ad ogni costo».

Il ministro Salvini dimentica che In Italia la riassegnazione di sesso e genere anagrafico è consentita dalla Legge 14 aprile 1982, n. 164: «Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso». Una norma che rappresenta una grande conquista di civiltà nel nostro Paese e che oggi si vuole in qualche modo offendere. 

Dura lex, sed lex
L’identità di genere si riferisce al sesso, femminile o maschile, che una persona sente proprio. L’acquisizione dell’identità di genere avviene generalmente intorno al quarto anno di vita e, se non coincide con il sesso biologico, si verifica una discrepanza. Si parla allora di persone transessuali e/o transgender. La persona transessuale avverte l’esigenza di modificare il proprio aspetto e/o la propria espressione di genere accordandoli alla propria interiorità, seguendo un percorso di transizione.

Transgender è invece un termine utilizzato con riferimento a coloro che si percepiscono come appartenenti a entrambi i generi o a un cosiddetto “terzo genere” neutro. È comprensibile come dalla non coincidenza tra vissuto interiore e aspetto esteriore scaturiscano un profondo senso di disagio e insicurezza, che possono sfociare nella decisione di intraprendere un percorso di transizione.

Questo disagio viene definito in termini medici disforia di genere (DSMV). Il riconoscimento della disforia quale condizione di disagio e non quale malattia mentale è avvenuto nel 2018 quando l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha rimosso la disforia di genere dall’elenco delle patologie mentali. La rettificazione avviene con sentenza del tribunale che attribuisce ad una persona un sesso diverso da quello enunciato nell’atto di nascita, a seguito di intervenute modificazioni dei suoi caratteri sessuali.

Ci sono voluti decenni per raggiungere questo traguardo che riconosce, finalmente, dignità a ogni essere umano che vive nel nostro Paese. Una pacifica conquista nell’universo dei diritti civili che per alcuni tanto pacifica non è. L’opera di erosione dei diritti trova nella propaganda dei governanti il suo terreno più fertile.

Ritorno al passato
D’altronde, dalla politica che ha sdoganato il generale Vannacci e ne ha fatto un eroe di libertà di pensiero, cosa dobbiamo aspettarci? Probabilmente, l’humus che in questi anni – di opposizione prima, e di governo poi – ha gettato le basi per un malcontento da riversare nei confronti dei più deboli, ha reso l’avanzata di personaggi come il generale Roberto Vannacci un rapida discesa. L’uomo che in un’altra epoca storica sarebbe stato derubricato al pari di un terrapiattista, oggi trova addirittura inviti per candidature politiche. «A me piacerebbe Vannacci candidato, perché è un’altra vittima della sinistra radical chic contro le libertà», ha detto il ministro dei Trasporti Matteo Salvini, alludendo candidamente alle polemiche scatenate dal libro del militare, “Il mondo al contrario”, che – per la cronaca – contiene opinioni razziste e omofobe, come la frase shock riferita a Paola Egonu, considerata «somaticamente non italiana».

L’idea di smontare molte conquiste civili non arriva certo con la candidatura di Vannacci. Basti ricordare che a gennaio 2023, il ministero dell’Interno ha emesso una circolare in cui chiedeva ai prefetti di opporsi ai riconoscimenti dei bambini figli delle coppie Lgbtq effettuati all’anagrafe da alcuni Comuni, tra cui Milano e Padova. Lo scorso 22 dicembre sono terminate le 33 udienze delle famiglie omogenitoriali di Padova per le quali inizialmente la Procura aveva richiesto l’annullamento degli atti di nascita dei rispettivi figli. In un secondo momento, alle prime udienze a Padova, c’era stato il dietrofront. La Procura aveva chiesto al tribunale di rivolgersi alla Corte Costituzionale per decidere se confermare o annullare gli atti di nascita dei 37 bambini e bambine figli di coppie formate da due donne. Bambini concepiti grazie all’inseminazione artificiale o la fecondazione eterologa.

Coppie omogenitoriali
In Italia non esiste una legge che regoli il riconoscimento dei bambini nati in famiglie composte da due mamme. Ma la Cassazione ha sancito più volte che gli atti dei figli di due madri nati nei Paesi che riconoscono la genitorialità lesbica devono essere trascritti. Inoltre, la Corte Costituzionale, chiedendo al governo di intervenire, ha stabilito che questo vuoto legislativo di fatto viola i diritti dei bambini e delle bambine. la richiesta della Procura venisse accolta, per Daniela e tutte le mamme coinvolti dal provvedimento, significherebbe perdere ogni diritto e dovere nei confronti dei propri figli. E dopo i tre gradi di giudizio, dovrebbero richiedere di adottare i propri bambini.

L’affermarsi di un governo di destra guidato da Giorgia Meloni sembra aver messo una pietra sopra alla lotta per i diritti civili, precipitati all’ultimo posto dell’agenda politica. Ne parla anche il deputato Pd Zan nel suo ultimo libro edito da Sperling & Kupfer “E noi splendiamo, invece” che uscirà il 23 gennaio. In 176 pagine il deputato Pd Zan mette nero su bianco tutto ciò che è successo negli ultimi anni, a partire dal clamoroso affossamento della proposta di legge contro l’omobitransfobia.

»A partire dall’affossamento del Ddl Zan c’è stata una legittimazione istituzionale alla violenza», dice il deputato in una recente intervista a Gay.it. «Un via libera alla violenza che può prendere tante forme, dalle botte all’esclusione alle battutine, passando per gli affitti negati alle persone LGBTQIA+, quelle cacciate dagli stabilimenti balneari, il padre che minaccia di morte il figlio gay, è un via libera istituzionale alla violenza».

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