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Giovani, precari e depressi: l’impatto delle disuguaglianze sulla salute mentale delle nuove generazioni

Eleonora ha 17 anni, è di Tor Bella Monaca, periferia est di Roma, e non può vivere nella sua casa perché il compagno con la madre e il fratello sono agli arresti domiciliari. Siede su una sedia posizionata in cerchio con altri giovani, guarda in basso attraverso una coltre di capelli mori ondulati. È una degli ospiti della comunità residenziale terapeutica riabilitativa per adolescenti con problemi psichiatrici La Casa. «L’avevamo fatta ricoverare all’ospedale perché aveva sviluppato un’infezione polmonare: è scappata e da poco è tornata», spiega Valentina Graverini, responsabile della comunità capitolina.

Graverini guarda dall’altro lato del cerchio una ragazza bionda. «Elisa – dice – ha 16 anni ed è fuggita dal carcere: è sotto custodia minorile, per questo adesso non possiamo mandarla a scuola».

«Le due giovani – riprende la responsabile – provengono entrambe da un contesto sociale degradato, ma nella nostra struttura ospitiamo anche persone che sono “di buona famiglia”. Il disagio psichico è trasversale, la differenza è che coloro che arrivano da un contesto economico sociale elevato sono agevolati. Se hai il papà medico o professore o politico, è più facile entrare in un percorso di reinserimento sociale: le scuole ti prendono più in considerazione e ti accettano meglio. Quando i ragazzi provengono da un contesto sociale basso, o quando i genitori non sono presenti perché a loro volta hanno difficoltà elevate, allora diventa più difficoltoso il reinserimento scolastico».

«In questi casi – continua Graverini – le comunità di riabilitazione spesso dicono di non poter accogliere i giovani, forse perché sanno che dovranno prima o poi farsi carico del mantenimento economico del ragazzo o della ragazza. Purtroppo  le scuole, appena vengono a sapere che i ragazzi provengono da una comunità e hanno disagi psichiatrici, ci dicono che non hanno posto, anche perché in casi come questo non è previsto l’insegnante di sostegno». 

Lo sviluppo di problemi di salute mentale nei minori, secondo la responsabile della comunità La Casa, «dipende dal contesto sociale in cui cresce l’individuo». 

L’organizzazione inglese Mental Health Foundation ha spiegato di recente l’impatto delle disuguaglianze sulla salute mentale citando, tra le tante indagini sul campo, un sondaggio condotto tra il 2017 e il 2020 nel Regno Unito, nel quale sono stati coinvolti oltre 3mila giovani e bambini tra i 5 e i 16 anni. Dallo studio è emerso che circa il doppio dei ragazzi con disturbo mentale proviene da una famiglia con problemi economici su base regolare mensile e che «i bambini e gli adolescenti svantaggiati dal punto di vista socio-economico hanno una probabilità due o tre volte maggiore di sviluppare problemi di salute mentale». 

Condizioni di partenza
I dati contenuti nel Report 2023 dell’ong Oxfam parlano chiaro: in Italia le disuguaglianze sono in crescita. Il 60% più povero della popolazione detiene solo il 14% della ricchezza nazionale, mentre il 20% più ricco ha in mano il 69%. Nel 2022, mentre il numero delle persone che versano in condizione di povertà assoluta nel nostro Paese saliva a quota 5,6 milioni, i cittadini milionari sono aumentati. E nel corso del 2023 i titolari di patrimoni superiori a 50 milioni di dollari sono aumentati di 690 unità (passando da 4.705 a 5.395). 

«In ambito scientifico è ampiamente accettato che le disuguaglianze nella salute, inclusa la salute mentale, sorgono a causa delle disuguaglianze sociali, ossia delle condizioni in cui le persone nascono, crescono, vivono, lavorano e invecchiano», spiega lo psichiatra Roberto Mezzina, già direttore del Centro di Salute mentale di Trieste, co-fondatore dell’International Mental Health Collaborating Network e dirigente nella World Federation for Mental Health. 

Prendendo in considerazione 104 studi realizzati sul tema, il team guidato da Mezzina nel 2022 ha svolto una revisione della letteratura scientifica – intitolata “Vulnerabilità sociale e disuguaglianze di salute mentale nel ‘Syndemic’: appello all’azione” – in cui si evidenzia come sia necessario e urgente, anche a causa della pandemia di Covid-19, un intervento preciso e mirato dei decisori, con un approccio che tocchi diversi settori. 

«Syndemic» è un termine che si riferisce alla convergenza di più epidemie o condizioni di salute che si influenzano reciprocamente e aggravano i loro effetti complessivi su una popolazione. Nella ricerca è citata l’opera dal più noto epidemiologo britannico, Michael Marmot, tra i primi a indagare la correlazione tra disuguaglianza sociale e salute mentale.

Nel 2006 Marmot ha pubblicato il libro “La Salute Diseguale”, tradotto e stampato in Italia nel 2016, in cui spiega come, anche solo spostandosi da un quartiere a un altro all’interno della stessa città, cambia l’aspettativa di vita, e come nei Paesi con maggiori disuguaglianze economiche vi siano livelli più alti di problemi di salute mentale. 

Ormai dato per assodato il collegamento tra disuguaglianze e salute mentale, il dibattito scientifico oggi si sta concentrando sull’indagare quali siano esattamente i fattori di rischio che aumentano la probabilità di sviluppare le patologie mentali. Secondo Mezzina, «i determinanti sociali della salute, anche mentale, agiscono attraverso un effetto cumulativo di svantaggi associati all’aumento dello stress nel corso della vita». 

Tra i fattori che influiscono sulla salute psichica, quindi, potrebbe esserci ad esempio la disoccupazione, che infatti «è spesso associata allo sviluppo di disturbi mentali come la depressione e l’ansia». Tra il 2004 e il 2022 l’occupazione dei giovani tra i 15 e i 34 anni è diminuita dal 52,3 al 43,7% (nello stesso periodo, per la fascia 50-64 anni è aumentata dal 42,3 al 61,5%). E tra i giovani occupati, a cinque anni dall’ingresso nel mondo del lavoro il 20% è ancora precario.

Ma, puntualizza Mezzina, sulla salute mentale possono incidere «anche una varietà di caratteristiche specifiche, come il genere, l’etnia, la disabilità, o l’appartenenza a gruppi socialmente esclusi, per esempio le persone senzatetto». 

Preoccupante
Il dibattito pubblico ha affrontato in più occasioni il tema del crescente disagio tra i giovani. In particolare in seguito all’aumento dei disturbi psichici dopo i lockdown tra il 2020 e il 2021, e poi nell’agosto 2023, quando è emerso il caso di due giovani violentate al parco di Caivano, quartiere dell’area metropolitana di Napoli, già al centro di diversi casi di grave violenza di minori e su minori. Lo scorso settembre il Governo è intervenuto con il decreto legge 159/2023, che ha introdotto misure urgenti di contrasto al disagio giovanile, alla povertà educativa e alla criminalità minorile. 

Ne abbiamo parlato con Carla Garlatti, Autorità Garante per l’infanzia e l’adolescenza: «A margine dell’epidemia di Covid-19 – spiega Garlatti – abbiamo avviato con l’Istituto Superiore di Sanità uno studio sul benessere mentale dei giovani. L’indagine è tutt’ora in corso, ma una prima fase è già stata pubblicata e sono stati raccolti dati preoccupanti: è stato evidenziato infatti un malessere complessivo tra i giovani, con forme più e meno gravi. È preoccupante perché è emerso che sono in aumento gli atti di autolesionismo, ideazione suicidaria e i disturbi alimentari». 

E nel periodo successivo al Covid la situazione non è certo migliorata. Secondo un report Istat del 2022, la forte accelerazione dell’inflazione ha impattato sul benessere dei giovani: il numero di minori che vive in condizioni di povertà assoluta è cresciuto, fino ad arrivare a quota un milione e 270mila. Ad accusare maggiormente il colpo sono le famiglie con più di tre figli a carico, soprattutto straniere.

«Vivere in povertà assoluta – sottolinea Garlatti – significa vivere in case non riscaldate, non avere accesso alle cure e non avere più di un pasto al giorno. Per questi giovani esiste il pericolo che, alla povertà materiale si aggiunga una povertà educativa, e quindi una scarsità di opportunità che non fa altro che rendere più profondo il solco di disuguaglianza con i propri pari che hanno più opportunità».

«Oggi – continua la Garante – prima di tutto è necessario impegnarsi per arginare il fenomeno della dispersione scolastica»: «I ragazzi devono essere posti all’attenzione delle figure di riferimento, nelle scuole, nello sport, nei centri di aggregazione e nelle parrocchie. Noi adulti non dobbiamo sottovalutare i segnali che indicano un possibile malessere. Le famiglie problematiche devono essere seguite, non solo sul fronte dell’aspetto economico, ma a trecentosessanta gradi. Noi, come Autorità Garante per l’infanzia e per l’adolescenza, di recente abbiamo richiamato l’attenzione dei decisori sulla mancanza di centri di salute mentale, sulla mancanza di posti letto nei centri, e abbiamo chiesto che i minori non vengano ricoverati negli stessi reparti degli adulti».

Spesa insufficiente
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, un numero tra il 10 e il 20 per cento di bambini e adolescenti nel mondo soffre di disturbi mentali. Santo Rullo, psichiatra divenuto popolare per aver ispirato con i propri progetti il film “Matti per il calcio” (2021) e responsabile della comunità La Casa, osserva: «In una società dove la disuguaglianza predomina, i nostri ragazzi possono sviluppare disturbi quali, ansia e depressione, ma anche disturbi alimentari, disturbi della condotta, psicosi, disturbi dell’apprendimento». 

A proposito dell’aumento di casi di criminalità minorile, racconta: «È molto difficile far comprendere alle persone che alcuni fenomeni di criminalità o comportamenti devianti a volte sono il sintomo di un disturbo o di un disagio, e rientrano tra i “disturbi della condotta”. L’abuso di sostanze stupefacenti e il disturbo psichiatrico sono elementi che si presentano spesso e volentieri in concomitanza». 

L’adolescenza, rimarca Rullo, «è un’età scomoda e non c’è adolescenza senza disagio. I disagi possono toccare sfere quali l’alimentazione, il comportamento deviante, le dipendenze, l’iperattività, il sesso, il ritiro sociale, l’apprendimento, l’autolesionismo, le relazioni affettive. Ma ci sono dei comportamenti che possono diventare sbagliati e possono portare a un errato adattamento: l’importante è che l’adattamento sbagliato non si fossilizzi diventando disturbo».

«Da parte dell’adulto – sottolinea – è necessario, da un lato, affrontare la situazione senza causare stress nell’adolescente e, dall’altro, prendere le giuste misure perché il disagio non diventi un disturbo. Quando diventa un disturbo si va verso la cura in ambito sanitario, cioè verso l’utilizzo di psicofarmaci e il ricovero in strutture specializzate. Quindi bisogna intervenire il prima possibile sui segnali che può mostrare un adolescente, come ad esempio il mangiare spesso cibo spazzatura, trascorrere troppo tempo sui social, o il “cutting” (cioè compiere atti di autolesionismo, ndr)».

«Andrebbe implementato il dialogo con il giovane – prosegue lo psichiatra – e in uno step successivo la situazione andrebbe portata all’attenzione di professionisti della salute. Il passo ulteriore lo dovrebbe compiere il sistema istituzionale italiano. Sono necessari nelle scuole interventi educativi, di sostegno per i ragazzi, e di orientamento degli insegnanti. Per esempio: servirebbe che il neuropsichiatra infantile fosse inserito all’interno delle scuole e che venga in tutti i modi evitata la stigmatizzazione del paziente». 

L’Italia, Paese che – grazie anche alla Legge Basaglia – è annoverato tra quelli che hanno sviluppato di più e meglio un innovativo metodo di gestione dei pazienti psichiatrici, non spende tuttavia abbastanza nella tutela della salute mentale: oggi siamo a meno del 3% del bilancio sanitario totale, mentre gli altri Stati europei investono in media tra il 5 e il 6%. E, secondo gli ultimi aggiornamenti, nel Pnrr non è prevista alcuna voce di spesa a supporto dei costi del sistema sanitario per quel che riguarda la salute mentale.

«In Italia servono maggiori interventi integrati, e strumenti amministrativi differenti che agevolino la progettualità sociale, per offrire supporto alle scuole e all’interno dei luoghi che sono punto di riferimento dei ragazzi», conclude Rullo. «Se non saranno adottate le azioni necessarie a implementare il sistema, nei prossimi anni rischiamo di trovarci a faccia a faccia con un fenomeno crescente di “disabilità psico-sociale”, parola di cui si sente parlare poco, ma che rappresenta è una disabilità tout court, legata alle problematiche di salute mentale. Se si attuano le iniziative giuste, la disabilità psico-sociale può essere reversibile e temporanea, ma se non vengono adottate le giuste misure molti ragazzi rischiano di diventare un problema sanitario cronico, con il rischio di una deriva sociale».

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