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Perché il mercato immobiliare sta entrando in una nuova crisi

Nell’Italia degli anni Sessanta un operaio che guadagnava 50.000 lire al mese poteva permettersi di comprare casa, in media, dopo circa vent’anni di lavoro. Oggi, con uno stipendio mensile di 1.300 euro, non gli basterebbero neanche quarant’anni. Lo ha calcolato il fondo d’investimento Ener2Crowd ricavando dal valore della busta paga una stima sulla capacità di risparmio annua e incrociando questa con le quotazioni immobiliari medie. 

Salari bassi, precarietà diffusa e un elevato tasso di disoccupazione rendono oggi l’acquisto di un’abitazione pressoché impossibile per molti italiani, specialmente per chi ha meno di 40 anni e non può contare sul sostegno economico della propria famiglia. Ma questa non è certo una novità: ormai dal lontano 2008, con l’inizio della crisi finanziaria, il mercato immobiliare nel nostro Paese vive una stagione difficile. 

Dopo il picco negativo del 2013, quando il numero delle compravendite scese al livello più basso del dopoguerra e i prezzi delle case segnarono -6,5% rispetto all’anno precedente, la pandemia di Covid, con la conseguente ripresa generale dei consumi, aveva ridato ossigeno e fiducia al settore. Adesso, però, stiamo entrando in una nuova fase critica.

Il ritorno prepotente dell’inflazione erode il potere d’acquisto delle retribuzioni (già mediamente basse di loro) e ha convinto la Banca Centrale Europea ad alzare i tassi d’interesse. L’effetto micidiale è che gli italiani da un lato si ritrovano con meno soldi in tasca da spendere e da investire e dall’altro si vedono chiedere dagli istituti di credito mutui a condizioni esponenzialmente più costose.

I dati dell’Agenzia delle Entrate dicono che nel primo trimestre del 2023 le compravendite di immobili residenziali sono calate dell’8,3% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Nelle otto città più popolose si registra una frenata media addirittura del 13%, con punte del 23,9% a Bologna, del 22,9% a Milano e del 10,3% a Roma.

Tra gennaio e marzo la percentuale di coloro che hanno acquistato casa tramite un mutuo ipotecario è scesa da 51,9 a 41,8: una flessione logica, se si considera che nel giro di un anno il tasso d’interesse medio è più che raddoppiato, da 1,89 a 4,08%. 

Secondo l’ultima edizione del consueto sondaggio sul mercato delle abitazioni condotto dalla Banca d’Italia, un agente immobiliare su tre segnala difficoltà nel reperimento del mutuo da parte degli acquirenti, la percentuale più elevata dalla fine del 2014. E la società di consulenza Nomisma stima per l’anno in scorso un indebolimento del 14,6% della domanda sul mercato immobiliare.

Non solo tassi
Dunque, l’investimento sul mattone – storicamente il preferito degli italiani, anche grazie a un regime fiscale più favorevole che all’estero – è sempre meno gettonato, perché sempre meno persone possono permetterselo. Ma l’inflazione e il rincaro repentino dei mutui non sono le uniche cause.

A pesare sono anche considerazioni sui costi crescenti che comporta l’avere una casa di proprietà, dalla volatilità delle bollette del riscaldamento ai prezzi delle ristrutturazioni, sui quali si profila un corposo taglio dei bonus statali. 

Nella relazione al sondaggio congiunturale svolto da Bankitalia, si legge che «viene confermato dagli operatori un complessivo effetto negativo delle modifiche governative al Superbonus (in particolare i vincoli posti alla cedibilità del credito) sul numero di potenziali acquirenti e sui prezzi di vendita nel corso del 2023».

Inoltre, c’è la questione della proposta di legge europea sulle “Case green” che – se approvata – renderà obbligatorio per tutti gli edifici residenziali raggiungere la classe energetica E entro il 2030 e la D entro il 2033: l’associazione italiana dei costruttori edili (Ance) stima che tre quarti degli immobili coinvolti oggi non rispetti questi standard e che i relativi proprietari dovranno quindi predisporre nei prossimi anni gravosi lavori di adeguamento.

Per quanto la normativa europea preveda ampie deroghe e contributi pubblici alla riqualificazione e sebbene l’efficientamento farà lievitare il valore dell’immobile, la misura contribuisce inevitabilmente a disincentivare l’acquisto.

La parola d’ordine, insomma, è incertezza. Incertezza sulla stabilità del proprio posto di lavoro, sulla dinamica dei prezzi, sulla percentuale dei tassi d’interesse, sulle tariffe energetiche, sulle normative italiane e comunitarie. Di fronte a tutte queste incertezze, il cittadino medio difficilmente decide di imbarcarsi in un acquisto impegnativo come quello di un’abitazione. 

Il centro studi di Nomisma stima che la propensione all’acquisto di un immobile da parte degli italiani scenderà nei prossimi mesi dal 13,3% del 2022 a quota 12%. Se l’anno scorso si è chiuso con un volume record di oltre 784mila compravendite di immobili residenziali (ancora sull’onda della ripresa post-pandemica), per il 2024 si prevede un calo a 643mila operazioni.

E i prezzi? Per il momento stanno tenendo: due agenti immobiliari su tre riferiscono di una situazione di sostanziale stabilità delle quotazioni. Tuttavia – scrive la Banca d’Italia – nel secondo trimestre del 2023 «le indicazioni di un calo dei prezzi degli immobili residenziali sono divenute più diffuse» e «le aspettative degli agenti per il terzo trimestre prefigurano un marcato deterioramento sia del mercato di riferimento degli operatori, sia di quello nazionale». 

Guardando al 2024, poi, Nomisma prevede quotazioni ancora invariate in termini nominali (+0,2%), ma tenendo conto dell’inflazione il dato si tradurrebbe in un calo reale del 2,5%. In altre parole, il rimbalzo positivo seguito alla stagione del Covid si è ormai esaurito, la domanda sta frenando di colpo e nei prossimi mesi – salvo improbabili sorprese – dovrebbe trascinare giù anche i prezzi delle abitazioni (ma non i tassi d’interesse dei mutui). 

Locazioni boom
Se i passaggi di proprietà stanno diminuendo, è in ascesa invece il mercato delle locazioni. Nel primo trimestre del 2023 sono stati stipulati oltre 232mila contratti d’affitto, il 4% in più rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.

Alla vitalità della domanda corrisponde un’impennata sui canoni richiesti dai proprietari: le nuove locazioni registrate tra gennaio e marzo – stando i dati in possesso dell’Agenzia delle Entrate – prevedono tariffe annuali per complessivi 1,4 miliardi di euro, in un aumento del 9,1% rispetto al primo trimestre del 2022. E gli agenti immobiliari si attendono ulteriori rialzi anche per il secondo trimestre dell’anno. Con ripercussioni problematiche per i bilanci di migliaia di famiglie locatarie. 

Nell’analisi “Sguardi familiari sull’Abitare 2023”, realizzata da Nomisma, si legge: «Molte famiglie restano intrappolate nell’affitto e condizionate dall’aumento dei canoni di locazione, che specie nelle grandi città hanno raggiunto livelli non facilmente sostenibili rispetto alla capacità reddituale delle famiglie».

Secondo la società di consulenza, la percentuale di nuclei in affitto che per i prossimi dodici mesi prevedono difficoltà nel regolare pagamento del canone è aumentata dal 31,4% al 34,8%.

Proprio i rischi di insolvenza, combinati con l’irruzione sul mercato di piattaforme digitali come AirBnb, spingono sempre più proprietari immobiliari a optare per un modello di locazione diverso da quello tradizionale. Le case affittate con contratti agevolati per studenti sono aumentate del 12,6% nel primo trimestre del 2023 (fonte Agenzia delle Entrate) mentre nel corso dell’ultima estate le locazioni brevi per turisti hanno conosciuto un incremento del 15% rispetto alla stagione estiva 2022 (lo stima la Federazione Italiana Agenti Immobiliari Professionali): un trend, quest’ultimo, che peraltro il Governo, con la ministra del Turismo Daniela Santanchè, sembra intenzionato a contrastare ponendo rigidi paletti alla durata minima del soggiorno e al numero di immobili che un singolo proprietario può mettere a disposizione dei turisti. Staremo a vedere.

Arrivano gli squali
Il mercato immobiliare italiano storicamente è segnato da profonde oscillazioni. Come emerge da un dossier pubblicato qualche anno fa dall’Istat, a partire dal 1969 si sono alternati cicli di elevata crescita dei prezzi ad altri di flessioni sempre più marcate (dal -8% del biennio 1975-77 al -78% del periodo 2008-2015).

Oggi l’inflazione riduce la platea dei potenziali acquirenti e, d’altro canto, la prospettiva di quotazioni in ribasso nei prossimi mesi complica i piani di chi ha investito su un immobile con l’obiettivo di rivenderlo e mettere a segno una plusvalenza. La tendenza dei prossimi mesi e forse anni, quindi, sarà comprare per affittare.

Ma, come detto, sono sempre meno coloro che possono permettersi di acquistare. In questa fase la compravendita è alla portata solo di chi dispone di ingente liquidità o ha le spalle sufficientemente larghe per accollarsi un mutuo molto oneroso. Ecco allora che il parco immobiliare delle nostre città potrebbe diventare preda dei fondi d’investimento o altre società di gestione del risparmio che fanno del mattone il proprio core business.

In realtà il fenomeno è già in atto. Da un’indagine effettuata da Scenari Immobiliari emerge che il numero dei fondi immobiliari operativi nel nostro Paese, dietro autorizzazione della Banca d’Italia, è aumentato da 425 nel 2015 a 615 nel 2022, e dovrebbe salire ulteriormente a 635 nell’anno in corso. Nello stesso arco temporale il patrimonio immobiliare detenuto da queste società finanziarie è più che raddoppiato, passando in otto anni da 57 miliardi di euro a 123 miliardi (e a fine 2023 si stima arriverà a quota 130).

L’Italia, insieme alla Germania e all’Inghilterra, è uno dei Paesi che trainano questo comparto: i leader nazionali sono Dea Capital (Gruppo De Agostini), la statunitense Colliers Global, la Generali Real Estate (dell’omonimo gruppo assicurativo con sede a Trieste) e Cdp Real Asset (controllata da Cassa Depositi e Prestiti). Sebbene la stragrande maggioranza degli immobili in gestione siano a uso ufficio (58%) e commerciale (13%), l’interesse per il residenziale (che oggi rappresenta l’8% degli asset) è in crescita.

Roma e soprattutto sono Milano sono le nuove praterie da conquistare per questi predatori che hanno come unico obiettivo (del tutto legittimamente) quello di fare profitto. Sotto la Madonnina, ad esempio, si segnala l’attivismo del fondo Coima sul fronte degli studentati, mentre a inizio agosto la joint venture Pgim Real Estate-Cittamoderna ha annunciato la riqualificazione di uno stabile da 7mila metri quadrati in zona Navigli che sarà trasformato da destinazione commerciale a residenziale.

E ancora: il colosso statunitense Hines ha investito oltre 220 milioni di euro per comprare e riqualificare la Torre Velasca, grattacielo simbolo dell’architettura brutalista: ai piani dal 19esimo al 26esimo saranno ricavati settantadue appartamenti da affittare short-term.

C’è anche la campagna acquisti di questi fondi all’origine dell’emergenza abitativa che investe Milano, dove comprare casa è diventata un’impresa ormai proibitiva e trovare un alloggio in affitto è come cercare un ago in un pagliaio, con conseguente impennata dei prezzi. Ma il capoluogo lombardo è solo il caso più eclatante di una dinamica diffusa in quasi tutto il Paese.

«Se il 2023 può essere considerato l’inizio della metafora della “casa-impossibile”, è necessario che gli attori pubblici e privati, finanziari e sociali, gestori e investitori, si sentano chiamati in causa per dare una risposta concreta a una vera e propria emergenza nazionale, attivandosi per promuovere strumenti innovativi e di sostegno necessari ad avviare un percorso verso un abitare evoluto», osserva Marco Marcatili, Chief Development Officer di Nomisma.

«La sfida per i prossimi anni sarà quella di costruire soluzioni dedicate e una proposta di accesso al credito molto più sartoriale in relazione alle diverse condizioni familiari, in alcuni casi anche integrata da una proposta di gestione degli immobili e sostenuta da nuovi strumenti pubblici di garanzia del credito in grado di abbassare gli scaloni in ingresso per le famiglie. Senza dimenticare il mondo della locazione, per garantire una risposta adeguata alle famiglie che sembrano pagare di più l’incertezza rispetto al futuro».

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