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Tutti addosso a Macron ma la Nato combatte da anni per l’Ucraina

Due anni di guerra, centinaia di migliaia di morti e feriti, uno stallo lungo mesi. Dopo il fallimento della controffensiva, gli alleati dell’Ucraina cercano di prepararsi alla prossima fase della guerra contro la Russia. La priorità per Kiev è reperire finanziamenti, munizioni e uomini per sostenere quella che prende sempre più i contorni di una guerra di logoramento. Un impegno a lungo termine per gli alleati, che devono fare i conti con il malcontento di parte dell’opinione pubblica e l’eventualità di un cambio della guardia alla Casa bianca.

Negli Stati Uniti, prima ancora delle elezioni di novembre, l’ostruzionismo dei repubblicani vicini a Donald Trump è già riuscito a ostacolare l’ultimo pacchetto di aiuti voluto dall’amministrazione Biden. Anche all’interno dell’Unione europea gli aiuti per Kiev sono stati bloccati dalle divisioni interne. L’ultimo caso è l’impasse sui 50 miliardi di aiuti, superato grazie a un compromesso con il primo ministro ungherese Viktor Orban. Le tensioni su questo tema non si sono limitate ai membri periferici dell’Unione. Anche Francia e Germania si sono lanciate accuse incrociate sull’impegno a favore di Kiev. Berlino, secondo fornitore di aiuti militari dopo gli Stati Uniti, da tempo accusa Parigi di non destinare all’Ucraina risorse adeguate. Da parte sua la Francia, insieme al Regno Unito, si è impegnata a inviare missili a lungo raggio, una linea che il governo Scholz non intende varcare.

L’azzardo di Parigi
È in questo contesto che a fine febbraio Emmanuel Macron ha aperto all’eventuale invio di truppe Nato in Ucraina. Un azzardo, forse per spiazzare gli avversari e ristabilire, come ha detto il presidente francese, una certa «ambiguità strategica». La reazione degli alleati però non è stata positiva.

«Il presidente Biden è stato chiaro sul fatto che gli Stati Uniti non invieranno truppe a combattere in Ucraina», ha detto la portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale della Casa bianca dopo l’annuncio fatto da Macron a una conferenza organizzata a Parigi lunedì 26 febbraio.

Durante la riunione per discutere della risposta europea ai progressi russi in Ucraina, il presidente francese si è rifiutato di escludere l’invio di truppe, un tema finora tabù.

Macron non ha offerto dettagli sui tempi e le condizioni dell’eventuale dispiegamento, evidenziando l’importanza di preservare «l’ambiguità strategica». Ha anche ammesso che allo stato attuale «non c’è alcun consenso» a sostegno dell’invio di truppe. «Detto questo, nulla è da escludere», ha sottolineato. «Faremo tutto il possibile per assicurarci che la Russia non prevalga».

L’annuncio è stato accolto con stupore tra le cancellerie e l’opinione pubblica. I governi di Italia, Stati Uniti, Germania, Polonia, Spagna, Repubblica Ceca e altri Paesi della Nato hanno tutti smentito di aver considerato l’invio di truppe in Ucraina.

Ma anche all’inizio della guerra, ha ricordato Macron, molti Paesi erano restii a impegnarsi. «Vi ricordo che due anni fa, molti attorno a questo tavolo dicevano: “Offriremo sacchi a pelo ed elmetti”», ha detto ai giornalisti al vertice di Parigi. «Oggi dicono: “Dobbiamo andare più veloce e più forte per ottenere missili e carri armati”. Hanno l’umiltà di rendersi conto che spesso siamo in ritardo di sei o dodici mesi rispetto alla tabella di marcia. Questo era lo scopo della discussione di stasera. Quindi tutto è possibile se ci aiuta a raggiungere il nostro obiettivo».

Alla conferenza, Macron ha anche insistito sulla necessità «di agire più rapidamente» sul fronte della «economia di guerra» a partire «dalle munizioni, dai sistemi di difesa terra-aria e dai missili a medio e lungo raggio» oltre a ribadire che, ricorda l’Eliseo in un comunicato, «nulla deve essere escluso per contrastare la guerra di aggressione condotta dalla Russia in Ucraina».

Foreign fighter
La presenza di soldati occidentali non sarebbe di per sé una novità. Come ricorda il Washington Post, su entrambi i lati del fronte non mancano i foreign fighter, anche se non ci sono numeri ufficiali. A febbraio, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha autorizzato con un decreto l’arruolamento di stranieri nella guardia nazionale ucraina, dopo aver proposto una legge che agevolerebbe l’ottenimento della cittadinanza ucraina. Anche Vladimir Putin a gennaio ha firmato un decreto per accelerare il riconoscimento della cittadinanza agli stranieri che si arruolano.

Per quanto riguarda l’Ucraina, all’inizio del conflitto le autorità hanno dichiarato che circa 20mila persone provenienti da più di 50 paesi si erano unite alla Legione internazionale di difesa territoriale. Secondo quanto dichiarato a giugno 2022 dal portavoce Damien Magrou, all’epoca il maggior numero di volontari stranieri erano statunitensi e britannici, seguiti dai polacchi e dai canadesi, mentre un numero elevato proveniva da Paesi baltici e nordici, tra cui la Finlandia. Successivamente Kiev ha mantenuto il riserbo sul numero di combattenti che continuano ad arrivare dall’estero, specificando solo che il loro profilo sta cambiando. Dall’anno scorso l’Ucraina si è infatti dotata di una struttura di reclutatori e istruttori per Paesi di lingua spagnola, dopo che i primi volontari provenivano principalmente da paesi post-sovietici o di lingua inglese.

Secondo quanto riporta Associated Press, tra chi ha risposto all’appello ci sono ex militari della Colombia, che in Ucraina possono guadagnare quattro volte lo stipendio percepito da un sottufficiale in patria. Ai foreign fighter è promesso lo stesso salario dei soldati ucraini, che arriva fino a circa 3.300 dollari mensili (pagato in valuta ucraina) per chi combatte al fronte. I combattenti hanno diritto a ricevere fino a 28.660 dollari in caso di infortunio, a seconda della gravità delle ferite, mentre alle famiglie dei caduti spetta fino all’equivalente di 400mila dollari.

Documenti riservati del Pentagono, emersi online l’anno scorso, hanno anche confermato che in Ucraina sono già presenti consiglieri militari e uomini delle forze speciali di Paesi Nato come Stati Uniti, Regno Unito e Francia. Uno dei documenti, datato 23 marzo 2023, ha rivelato che il più grande contingente di forze speciali in Ucraina è quello britannico, con 50 uomini, seguito dai 17 della Lettonia, i 15 della Francia, i 14 degli Stati Uniti e il singolo uomo inviato dai Paesi Bassi. Il documento, ripreso dalla Bbc, non specificava dove le forze fossero localizzate né quali attività svolgessero.

Un’inchiesta del New York Times ha inoltre confermato la presenza di basi «quasi interamente finanziate e in parte equipaggiate» dalla Cia, come parte di una partnership con l’intelligence ucraina iniziata dopo lo scoppio della guerra civile nel 2014. La rete di basi, secondo il New York Times, include 12 siti segreti collocati lungo il confine con la Russia che, secondo il generale Valeriy Kondratiuk, ex capo dell’intelligence militare ucraina, sono ancora operativi. Anche dopo l’invasione gli uomini della Cia hanno continuato a trasmettere informazioni di intelligence di importanza «cruciale» per resistere all’offensiva russa, come ammesso da Ivan Bakanov, allora capo del servizio di intelligence interno, lo Sbu. «Senza di loro non avremmo avuto modo di resistere ai russi o di batterli», ha detto al quotidiano. Alcuni degli uomini della Cia sono poi stati impiegati in basi ucraine dove hanno esaminato gli elenchi dei possibili obiettivi russi, confrontando le informazioni a disposizione degli ucraini con quelle dell’intelligence statunitense.

La partecipazione della Nato alla scelta degli obiettivi russi è già stata citata in passato da politici russi come possibile casus belli. Ad agosto l’ex presidente Dmitri Medvedev ha detto che per questo motivo Mosca avrebbe diritto di andare in guerra «contro ogni Paese Nato». 

Un coro di no
L’intenzione di Macron, secondo alcuni osservatori, è di mettere in chiaro che tutte le opzioni sono ancora sul tavolo. Un tentativo, in quest’ottica, di dare una scossa agli alleati e di aggiungere un elemento d’incertezza nei calcoli di Vladimir Putin. La reazione degli altri Paesi occidentali è stata tutt’altro che positiva. Nella breve nota rilasciata a seguito della conferenza, Palazzo Chigi ha preso nettamente le distanze dalla proposta. «Fin dall’aggressione russa di due anni fa vi è stata piena coesione di tutti gli alleati nel supporto da offrire a Kiev. Questo supporto non contempla la presenza sul territorio ucraino di truppe di stati europei o Nato», ha detto il governo italiano. Decisa anche la presa di distanza della Germania. Il cancelliere Olaf Scholz ha affermato che «nessun soldato» sarà inviato in Ucraina da Paesi europei o della Nato. Il leader socialdemocratico ha anche confermato che la Germania, a differenza di Francia e Regno Unito, non invierà all’Ucraina missili a lungo raggio. Il timore è legato alla gittata dei missili tedeschi Taurus, in grado di colpire obiettivi in territorio russo. «I soldati tedeschi non devono essere legati in nessun punto agli obiettivi che questo sistema è in grado di raggiungere», ha spiegato Scholz. Anche all’inizio del conflitto Berlino aveva frenato sull’invio di armamenti, limitando gli aiuti a un ospedale da campo e alla fornitura di 5.000 elmetti prima di cambiare progressivamente. Nei mesi successivi il governo Scholz ha però fornito armi sempre più sofisticate, come sistemi di difesa aerea e di artiglieria e carri armati, fino a diventare il secondo Paese per aiuti militari all’Ucraina, alle spalle degli Stati Uniti. Nelle settimane precedenti la riunione di Parigi, erano stati gli esponenti del governo tedesco ad accusare la Francia per non aver inviato aiuti militari a sufficienza, nonostante spese militari di entità simile. Parigi si è difesa sostenendo di non avere scorte sufficienti di vecchie armi e di aver invece fornito mezzi più sofisticati, in particolare i missili da crociera Scalp. «Sono felice che la Francia stia valutando come sostenere con più forza l’Ucraina, ma se posso dare un suggerimento, allora invii più armi», ha attaccato il vicecancelliere tedesco Robert Habeck.

Anche la Casa bianca ha ribadito di non avere alcun piano per inviare truppe di terra. I soli membri delle forze armate statunitensi presenti in Ucraina, ha detto il portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale John Kirby, si trovano presso l’ambasciata americana a Kiev a «svolgere un lavoro importante» sul controllo delle armi fornite all’Ucraina. Kirby ha negato che i soldati statunitensi possano essere usati per lo sminamento, la produzione di armi o attività informatiche, come ha invece suggerito il ministro degli Esteri francese Stéphane Séjourné. Queste attività, ha detto Séjourné nel tentativo di contenere le polemiche, «potrebbero richiedere una presenza sul territorio ucraino, senza varcare la soglia dei combattimenti». 

Altri sono stati meno netti. «La presenza delle forze Nato in Ucraina non è impensabile», ha dichiarato il ministro degli Esteri polacco Radosław Sikorski, dopo che Varsavia si era unita al coro di no iniziale. I Paesi baltici hanno subito manifestato interesse nella proposta di Macron, ringraziando la Francia per aver «pensato fuori dagli schemi».

Al momento l’esigenza di Kiev rimane quella di rinfoltire le fila dell’esercito, a prescindere dagli arrivi dall’estero. Per dare respiro a chi è stato al fronte dall’inizio dell’invasione e tenere testa alla Russia, che ha una popolazione di 144 milioni di persone, più di tre volte quella ucraina, il Paese quest’anno dovrà reclutare fino a 500mila persone. Per raggiungere questo obiettivo è stata presentata in parlamento una proposta che abbasserà l’età di leva dai 27 ai 25 anni. La misura è stata molto contestata in particolare per le norme che prevedono esenzioni per i lavoratori considerati essenziali, i quali dovranno contribuire economicamente allo sforzo bellico. Secondo il primo ministro Denys Shmyhal, i cittadini si dovranno dividere tra «chi combatte e chi lavora per riempire le casse». Secondo i critici, il rischio è di creare una situazione in cui chi non potrà permettersi il contributo finirà per andare al fronte. Un sondaggio condotto a febbraio dall’istituto Info Sapiens, citato dal Financial Times, indica che il 34 per cento degli uomini è disposto ad andare a combattere mentre il 48 per cento non lo è.

Kiev ha specificato ad ogni modo di «non aver mai chiesto truppe straniere per combattere al suo fianco al fronte». «Per questo motivo i comunicati affrettati che negano la possibilità di inviare truppe in Ucraina non sono state un colpo per il nostro Paese», ha scritto Dmitro Kuleba in un articolo per Le Monde. Piuttosto, secondo Kuleba, è stato un «duro colpo per la sicurezza europea. Non vi illudete: Putin ha intuito e preso atto della paura primordiale degli europei di combattere. È deplorevole vedere quanti nella politica e nella società non riescono a riconoscere che l’era della pace in Europa è finita».

Secondo Vladimir Putin, l’invio di soldati da parte dei Paesi occidentali comunque «non cambierebbe la situazione sul campo». In un’intervista del 13 marzo, il presidente russo ha ricordato la presenza «da lungo tempo» di militari dei Paesi occidentali, sostenendo che Stati Uniti e Russia non sono prossimi a »schiantarsi frontalmente». Allo stesso tempo è tornato ad agitare lo spettro di un conflitto nucleare, ribadendo che le forze nucleari del Paese sono in «allerta costante». Gli Stati Uniti «stanno sviluppando le loro componenti. Anche noi. Questo non significa, a mio avviso, che siano pronti a iniziare questa guerra nucleare domani», ha detto. «Se lo sono, cosa possiamo fare? Siamo preparati».

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