Il Veneto alle prese col turismo “cafone” estivo: a Padova, nello storico Prato della Valle, alcuni soggetti si sono sdraiati a prendere il sole in biancheria intima a ridosso delle statue; a Cortina, cuore delle Dolomiti, alcuni turisti hanno pensato bene di spogliarsi accanto al loro camper, stendendo i panni sul monumento che ricorda le Olimpiadi del 1956; a Jesolo ed Eraclea si moltiplicano le segnalazioni di bagnanti che girano in tanga o a torso nudo lungo le vie dello shopping e nei locali; mentre a Vodo di Cadore il gestore del rifugio Talamini ha denunciato episodi di inciviltà estrema, con avventori che hanno persino abbandonato pannolini sporchi nei piatti. Ma non finisce qui. Anche Venezia, patrimonio dell’umanità e vetrina internazionale, si trova sempre più spesso a fare i conti con episodi di inciviltà che finiscono sotto i riflettori dei media di tutto il mondo. Dalle bravate sui tetti ai tuffi nei canali, fino ai comportamenti irrispettosi verso monumenti e spazi pubblici. Per questo, il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, lancia la proposta di un “Daspo per i turisti”, uno strumento pensato per tutelare cittadini, visitatori e il valore stesso del nostro patrimonio culturale. Con TPI affronta pro e contro di un’idea che sta facendo discutere.
Perché un Daspo per i turisti?
«Ho pensato a questa misura perché, nella mia esperienza, ho visto che in certi casi serve un segnale forte. Quando ero presidente di provincia, ho vissuto la tragedia dei morti sulle strade: la mia provincia era la prima in Italia per numero di vittime. Ricordo che arrivammo a 210 morti in un anno. Da lì nacquero tanti progetti e capii che il problema si divide sempre in due aspetti: quello culturale e quello repressivo. Abbiamo investito molto in educazione e cultura, ma è anche vero che la parte sanzionatoria ha cambiato la storia del nostro Paese. Ecco perché il Daspo. È come a scuola, quando ti mandavano fuori dalla porta per tutta la lezione: non era solo una punizione, ma anche un atto educativo e un segno di rispetto verso chi si comportava bene. La verità è che sono gli stessi cittadini e turisti per bene a chiedere di non vedere certi episodi. Non siamo in balìa dei barbari, ma basta un piccolo gruppo di persone maleducate per rovinare l’immagine di tutti. Mi viene in mente un cartello che diceva: “Per colpa di qualcuno, non si fa credito a nessuno”. È un concetto chiaro: la quasi totalità dei turisti è composta da persone civili, ma per colpa di pochi rischiamo di penalizzare tutti. Eliminando quei pochi, il rispetto sarà garantito».
Venezia è stata particolarmente colpita.
«Abbiamo avuto casi di persone che si sono arrampicati sui tetti dei palazzi per tuffarsi in acqua, con tanto di video. Altri che girano in boxer e fanno il bagno nei canali o addirittura li attraversano a nuoto come fosse una sfida. E oggi, con i social, tutto si amplifica. Viviamo in un mondo dove si condivide tutto: c’è chi rischia la vita facendosi investire da un treno per un video e chi cerca il suo momento di “gloria” facendo stupidaggini nelle nostre città. Ma Venezia non è un palcoscenico per bravate: chi non ha rispetto per la città, per i cittadini e per gli altri turisti deve restarsene a casa».
Il tema comunicativo è centrale, non è così?
«Noi siamo la prima regione turistica d’Italia, con circa 70 milioni di presenze annue, e il 66% dei turisti è straniero. Per questo ogni episodio fa notizia internazionale. Se qualcuno fa una stupidata a Venezia, la notizia finisce sul New York Times e su altri quotidiani mondiali: ha una risonanza devastante. Quindi noi ci sentiamo anche una responsabilità. Venezia è una città unica al mondo, patrimonio dell’umanità. È un museo a cielo aperto con oltre mille anni di storia, che però resta vivo grazie ai suoi 48mila abitanti. Non possiamo permettere che qualcuno la rovini con atteggiamenti incivili. Penso, inoltre, che una buona comunicazione sia un buon elemento anche di qualificazione dell’offerta turistica. Cioè, noi non possiamo accettare l’effetto suk, con rispetto per i suk. Voglio dire che noi siamo abituati a piazza San Marco in ordine, pulita, eccetera, e vogliamo resti così. Chi viene deve rispettare queste regole».
Venezia è sotto pressione: il Daspo può aiutare a gestire i flussi?
«Il Daspo non riguarda la sostenibilità, che è un altro tema. Venezia deve stabilire qual è la sua capacità massima di turisti giornalieri, perché arrivare a 150mila persone in un solo giorno è insostenibile. Come avviene nei musei o nei ristoranti, anche a Venezia bisogna prenotare l’ingresso. Oggi esistono già modalità online che permettono di fissare la visita, come si fa per un posto in aereo o al teatro. Venezia ha un vantaggio: è facilmente controllabile perché ha pochi accessi via terra».
Chi deve applicare il Daspo?
«Lo strumento deve essere affidato ai Comuni, che hanno la polizia municipale. Non si tratta di uno Stato di polizia, ma di dare un esempio chiaro. È un tema di civiltà e di buon senso, non di politica. Lo dico chiaramente: ci sono atteggiamenti che in altri Paesi non verrebbero neppure presi in considerazione. All’estero certe cose non le fai nemmeno per idea, mentre in Italia qualcuno ci prova. Questo è inaccettabile».
L’Italia rischia di sembrare “ostile” ai visitatori?
«Chi sceglie di visitare un territorio, lo fa perché ne ha avuto notizia, perché lo conosce magari a distanza, perché c’è già stato e perché lo ama. Quindi ne rispetta le regole. Se mi dicessero “guarda che se vai a visitare San Pietro non devi scrivere sul colonnato perché non è assolutamente permesso”, non ci trovo nulla di strano, anzi, lo trovo logico. Quindi chi si pone il problema è chi non ha capito il fine di una misura del genere. E aggiungo che non si tratta di militarizzare nulla, ma di garantire che il turismo si svolga in un contesto internazionale di rispetto reciproco, tra comunità che ospita e visitatori. Queste mie parole non riguardano un tema di destra o di sinistra, è un tema di civiltà e di buon senso, che noi tutti utilizzeremo a casa nostra. Che percezione abbiamo della cosa pubblica? È una percezione di sacralità per me. Penso ai graffiti: se li fai su un muro di cemento in uno spazio dedicato, va bene; se li fai su un palazzo storico di 500 anni, sei un delinquente. Lo stesso vale per altri comportamenti. Non è questione di limitare la libertà, ma di rispetto».
Il Daspo non sarebbe la prima misura “contro” i turisti maleducati…
«Quando decidemmo di far pagare i soccorsi in elicottero a chi si avventurava in montagna con le Havaianas, qualcuno protestò. Ma da allora tanti hanno iniziato a pensarci due volte prima di partire impreparati. È stata una misura educativa, non solo repressiva».
L’Italia ha un patrimonio da difendere.
«Il Veneto ha nove siti riconosciuti dall’UNESCO, e io mi sono battuto per questo. Ma essere patrimonio dell’umanità comporta obblighi: serve un piano di gestione approvato dall’UNESCO e lo Stato deve garantire la tutela del bene, che appartiene a tutti. Non possiamo accettare comportamenti irrispettosi. Penso all’Orto Botanico: non puoi tagliare fiori per portarteli a casa. Serve comunicazione, ma anche fermezza: chi non ama la destinazione non è il benvenuto. Il turismo è globale, siamo tutti cosmopoliti, non capisco per quale motivo la regola valida per un Paese non debba poi valere anche per il nostro».
Un problema limitato?
«Non stiamo parlando di un fenomeno che distrugge il turismo. Sono episodi isolati, forse pochi all’anno, ma rovinano l’immagine di tutti. E prevenire è sempre meglio che curare. I social portano tante cose positive, ma anche fenomeni negativi come l’emulazione. C’è chi si lancia da un palazzo sul Canal Grande solo per un video. Queste cose non possiamo tollerarle: bastano due o tre episodi all’anno per fare un danno enorme».
Come porterà avanti questa proposta?
«Non ho competenze giuridiche, come in altri casi in cui ho fatto delle proposte e poi sono state lanciate in Parlamento (vedi il caso del braccialetto elettronico per i borseggiatori), anche in questo caso penso che si possa provvedere dando a noi amministratori in “front office” gli strumenti legislativi per risolvere questo problema. Noi che viviamo ogni giorno le problematiche in maniera più diretta possiamo offrire delle idee pratiche, delle soluzioni. Ripeto, stiamo parlando di casi isolati, come quando ricevi tanta gente a casa, su 100 persone, qualcuna vorrà mettere i piedi sul divano. E tu gli spiegherai che è meglio se a casa tua non ci viene più. Ma sia chiaro, il Daspo non è uno strumento punitivo fine a sé stesso, ma un segnale di civiltà. Chi viene in Veneto, e in Italia in generale, deve rispettare regole semplici di buon senso, quelle del buon padre di famiglia, per intenderci. Abbiamo il Paese più bello del mondo, con il 70% dei siti culturali e una biodiversità unica: non possiamo permettere che pochi maleducati rovinino tutto».

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