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La stagione del poliamore: chi dice No alla monogamia

L’amore non si fonda solo su una relazione monogama. Sempre più persone si interessano del poliamore. Ma quali sono le dinamiche racchiuse in questo tipo di relazione affettiva? Dagli anni Novanta in poi è molto cambiato nell’approccio e nell’interesse nei confronti delle relazioni non monogame. 

«Possiamo definire il poliamore come l’atto o la possibilità di intraprendere più relazioni affettive con più persone, con il consenso di tutti i coinvolti», spiega a TPI Car G. Lepori, attivista poliamoros* e queer (che ci chiede di usare per sé l’asterisco, in caso di parole che possono essere espresse sia al maschile che al femminile).

«Alcune persone – prosegue – lo definiscono come un orientamento relazionale facente parte dell’ombrello delle non-monogamie, che possono avere sfumature diverse e basarsi su diversi tipi di accordi. Altre lo possono vivere come una scelta relazionale, altri ancora come un approccio alle relazioni, un diverso sguardo sul mondo relazionale fuori dai canoni della mono-normatività (ovvero il pensiero dominante, basato sul fatto che le uniche relazioni degne di nota e rappresentazione debbano essere quelle monogame, fondate sulla coppia e sulla fedeltà come uno dei capisaldi)».

Rompere gli schemi
Quale è stato il tuo approccio al poliamore? «Non mi sono mai sentit* a mio agio nelle relazioni monogame», risponde l’attivista. «Non ho mai eletto la fedeltà a valore assoluto, non ho mai compreso la necessità di legarmi ad una sola persona gerarchizzando la nostra relazione rispetto a tutte le altre. Nella mia ottica, darsi la possibilità di intraprendere più rapporti e lasciare che l’altra (o le altre) persona/e facciano lo stesso senza considerare alcune relazioni più valide e importanti di altre non toglie la capacità di apprezzare le singolarità, le peculiarità, le diverse caratteristiche di ognuno/a». 

«La paura di non sentirsi più “speciali” per qualcun* allontana spesso le persone dalle non monogamie. Questo – prosegue Lepori – è sicuramente anche dovuto allo stigma e agli stereotipi relativi alle non monogamie, considerate come meno importanti, meno durature, meno stabili, meno reali di una relazione monogama, o all’idea che nel momento in cui ci si innamora di più persone, allora bisogna “dividersi le parti” invece che avere “la torta tutta intera”».

»Io non ho mai diviso nulla, l* mi* partners nemmeno. Il mio approccio al poliamore è basato soprattutto sulla creazione di una rete solida di affetti intorno a me che possano essere alleat* e possano praticare la cura reciproca quando ce n’è necessità. È basato sul pensiero che l’amore che posso coltivare con le persone non necessiti di una scatola chiusa, ma di tante porte aperte e voglia di condividere esperienze e progetti». 

Come lo si affronta nella pratica? «Vivere le non-monogamie significa costantemente mettersi in discussione, comunicare apertamente i propri bisogni, decostruire preconcetti che ci hanno influenzato per anni, ricostruire e ricostruirsi. Significa interrogarsi sulle proprie emozioni, sulla loro origine e su come possono influenzare noi stess* e l* altr*».

«Le relazioni poliamorose non vanno per forza glorificate: sono relazioni umane, e in quanto tali si possono portare dietro qualsiasi preconcetto. Una relazione poliamorosa può non essere sana, si possono instaurare dei rapporti di potere dannosi, può essere abusiva. Parlo spesso di come poliamore e transfemminismo siano molto intrecciati e quest’ultimo possa davvero offrire preziosi strumenti riguardo alla decostruzione degli schemi patriarcali, gerarchici e basati sulla cultura del possesso che gioverebbero a tutte le relazioni. Il poliamore si affronta con la consapevolezza di non essere perfett*, di potersi concedere margine di errore, di poter affrontare anche diverse situazioni dolorose prima di capire davvero qual è l’approccio relazionale che più fa per noi». 

Società impreparata?
Ad oggi non sono ancora state effettuate indagini statistiche rispetto alla popolazione non monogama sul territorio italiano. Una cosa però è certa, sottolinea Lepori: «Negli ultimi anni, grazie anche al diffondersi di comunità online e dal vivo di persone poliamorose, e grazie alla diffusione tramite social, è cresciuta la curiosità rispetto al tema. Sono sempre di più le persone che parlano di poliamore, si identificano come non monogame e praticano le non-monogamie in diverse forme».

Ma non mancano gli ostacoli sociali e culturali. «Dal punto di vista sociale, molte sono le interconnessioni tra stigma misogino e polyfobico: le persone che passano come donne poliamorose subiscono tutto lo stigma che può subire chiunque non sia un uomo cis in un mondo patriarcale, specialmente se questo è legato alla promiscuità. Le persone poliamorose inoltre vengono svalutate, considerate come meno serie, meno decise, incapaci di prendere decisioni e di costruire affetti stabili. I loro coming out non vengono creduti e le loro vite invisibilizzate. Se si è anche persone queer, ovviamente la dose è duplicata». 

«Le persone poliamorose – prosegue l’attivista – hanno difficoltà a trovare un* professionista della salute informato sul poliamore, o che accolga senza giudizio la questione, o che non patologizzi il loro essere poliamorose». 

Nel 2019 Car G. Lepori ha aperto una pagina Instagram (@polycarenze) «con lo scopo di fare divulgazione sulle non-monogamie, raccontare il poliamore a partire da esperienze costruite dal basso, politicizzare il discorso sul poliamore e offrire una panoramica sulla queerness». E quest’anno è arrivato anche un libro – “Poliamore. Riflessioni transfemministe queer per una critica al sistema monogamo” (Eris Edizioni, 2023) – scritto a quattro mani con Nicole (nic) Braida, militante e ricercator* queer e poliamoros*: «Il libro – spiega la co-autrice – si pone come obiettivo quello di spiegare in modo accessibile cosa siano le non-monogamie, e allo stesso tempo offrire una prospettiva politica sulle non monogamie e sulle interconnessioni tra sistema monogamo e altri sistemi dominanti».

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