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Israele, processo all’intelligence: così il Mossad ha fallito nel prevenire gli attacchi di Hamas

Che sia per coincidenza o per progettazione, il violento attacco lanciato da Hamas dalla Striscia di Gaza contro Israele, è arrivato nel cinquantesimo anniversario della guerra dello Yom Kippur, quando una coalizione di Paesi arabi lanciò un’aggressione a sorpresa contro lo Stato ebraico, nel giorno della sua più solenne festività religiosa. 

Nel 1973 l’esercito egiziano violò le fortificazioni di Bar-Lev lungo il canale di Suez, mentre sabato 7 ottobre 2023 Hamas ha distrutto la linea difensiva che Israele aveva costruito di fronte a Gaza nel corso degli anni. L’esercito israeliano è stato colto alla sprovvista, dimostrandosi impreparato. 

Nel giro di diverse ore, centinaia di miliziani hanno frantumato la recinzione di confine nel sud di Israele – uno dei luoghi più militarizzati al mondo – sorprendendo le posizioni militari locali e assaltando diversi siti. 

Impreparati
La tecnologia ha permesso a Israele di contenere Gaza, ma la linea di difesa non ha retto. L’esercito non ha saputo prevedere e limitare l’attacco, nonostante disponga del più consistente sistema di intelligence del Medio Oriente, che comprende lo Shin Bet, i servizi segreti per gli affari interni, e il Mossad, agenzia di intelligence focalizzata sulle operazioni all’estero.

Per fermare gli attacchi missilistici infatti, Israele utilizza l’Iron Dome, la cosiddetta Cupola di Ferro, un efficace sistema di difesa facilmente trasportabile, sviluppato con l’aiuto degli Stati Uniti: in pratica prende di mira i razzi in arrivo e spara un missile intercettore per distruggerli in aria. In passato ha anche speso centinaia di milioni di dollari per costruire un sistema di frontiere “intelligente”, costituito da sensori e muri sotterranei, in grado di rilevare l’attività sottoterra per oltre 50 chilometri. La sorveglianza israeliana della società palestinese è altamente sofisticata e invasiva; le aree di confine sono supervisionate da pattuglie regolari, telecamere, sensori di movimento del terreno e mini cannoni telecomandati in luoghi che in passato si sono dimostrati efficaci contro i tentativi di prendere d’assalto la recinzione di confine. Ma non questa volta.

Negli ultimi mesi Hamas sembra infatti riuscita a pianificare l’attacco senza che i servizi segreti israeliani lanciassero qualche tipo di allarme. Mentre le immagini dei razzi che attraversano il cielo sono diventate familiari nel corso degli anni durante i periodici combattimenti intorno a Gaza, i video condivisi nei giorni scorsi sui social che mostrano squadre d’assalto di Hamas per le strade delle città israeliane che sparano su auto e pedoni di passaggio, sono nuove ai nostri occhi. La recinzione che divide Israele dalla Striscia di Gaza era stata definita «impenetrabile», ma è stata semplicemente divelta utilizzando dei bulldozer e nessuno strumento di difesa delle forze armate israeliano è sembrato funzionare. I miliziani di Hamas hanno anche raggiunto i territori israeliani utilizzando parapendii a motore, unìoperazione singolare che ha certo necessitato di un addestramento non indifferente, pure questo mai intercettato dai servizi segreti. 

Sistema inefficace
Il successo dell’incursione fulminea di Hamas sembra indicare che l’organizzazione abbia aumentato le proprie capacità di pianificazione, esecuzione e di infrazione dei controlli da parte dei servizi segreti israeliani mentre, secondo la stampa israeliana, l’azione simboleggia un fallimento della propria leadership.

Il quotidiano israeliano Haaretz ha denunciato «I servizi di sicurezza dello Shin Bet hanno delle colpe: l’intelligence militare ha delle colpe; il capo dello staff ha delle colpe; le proteste degli ultimi mesi hanno delle colpe. Le manifestazioni si fermeranno fino alla fine della guerra, giustamente. Quando questa finirà, sarà impossibile evitare la grande domanda: che cosa ci è successo, come siamo caduti in una trappola così grande?».

Jonathan Conricus, ex portavoce internazionale delle forze di difesa israeliane, ha aggiunto: «L’intero sistema non è riuscito a funzionare. Non è solo un componente. È l’intera architettura di difesa che evidentemente non è riuscita a fornire la difesa necessaria per i civili israeliani». «È un fallimento in termini di intelligence, dal punto di vista operativo», ha commentato l’ex vice consigliere per la sicurezza nazionale, Chuck Freilich.

In sintesi: c’è stata sicuramente una sottovalutazione della minaccia e del potere di Hamas, dovuta anche al fatto che le forze armate israeliane consideravano un’operazione del genere altamente improbabile. Il danno subito da Israele va però oltre il flop militare: lo Stato si è mostrato vulnerabile, debole e impotente. Umiliato.

Le immagini dei civili che fuggono dalle loro case e città, saranno radicate nella loro memoria collettiva per molti anni a venire. L’establishment israeliano cercherà senza dubbio di recuperare l’iniziativa strategica e militare. Come ha fatto in passato, intraprenderà gravi campagne di bombardamento e violenza, che genereranno grandi sofferenze e innumerevoli vittime.

Crisi interna
L’attacco è arrivato in un momento di profonda crisi sociale per Israele. Il governo di estrema destra è sostenuto da una coalizione che comprende movimenti ultra-ortodossi, con posizioni radicali sulla questione palestinese: il ministro della Sicurezza Nazionale, Itamar Ben Gvir, per esempio, è sostenitore dell’uso dei metodi più brutali contro i palestinesi e, tra le cose, a gennaio ha vietato di mostrare in pubblico la bandiera della Palestina.

«Il disastro che ha colpito Israele è la chiara responsabilità di una persona: Benjamin Netanyahu. Il primo ministro, che si è vantato della sua vasta esperienza politica e della saggezza insostituibile in materia di sicurezza, non è riuscito completamente a identificare i pericoli in cui stava conducendo consapevolmente Israele quando ha istituito un governo di annessione e espropriazione, abbracciando una politica estera che ignorava apertamente l’esistenza e i diritti dei palestinesi», recita la prima parte dell’editoriale di Haaretz dell’8 ottobre 2023.

Nei mesi scorsi ci sono state enormi proteste, in seguito alla riforma della giustizia proposta dal primo ministro, che toglierebbe poteri alla Corte Suprema e metterebbe in dubbio il concetto di democrazia. Le prolungate manifestazioni hanno coinvolto anche i riservisti dell’esercito, che hanno chiesto di interrompere il servizio; una riduzione del numero di militari a disposizione potrebbe aver indebolito i controlli e le linee difensive.

L’azione di Hamas è inoltre arrivata durante lo shabbat, il giorno festivo ebraico che viene celebrato di sabato, quando le attività si riposano, registrando un rallentamento. «Siamo in guerra e vinceremo. Il nemico pagherà un prezzo senza precedenti», ha commentato Benjamin Netanyahu, mentre l’alto funzionario responsabile delle attività nei territori palestinesi, il generale Ghassan Alian, ha detto che Hamas ha «aperto le porte dell’inferno». Ciò che è certo è che oggi il conflitto si svolge tra i civili che si rifugiano nelle loro case e gli uomini armati determinati a uccidere innocenti. Da entrambe le parti.

Domenica 8 ottobre 2023, un gruppo di ex soldati israeliani che condannano la violenza dell’occupazione, hanno scritto sul loro canale Instagram (@breakingthesilenceisrael): «L’attacco di Hamas e gli eventi di ieri sono orribili. […] Da ex soldati israeliani, il nostro lavoro è parlare di quello che venivamo mandati a fare. […] Tutte queste parole in codice per bombardare Gaza, sempre con la giustificazione di colpire i terroristi, eppure sempre con un pesante bilancio di vittime civili. Tra un round di violenza e l’altro, rendiamo la vita degli abitanti di Gaza impossibile, e poi ci stupiamo quando le cose degenerano».

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